Il capostazione Vito Piccarreta ha dato indebitamente il segnale di partenza al treno diretto verso Bari senza l'autorizzazione del suo omologo di Corato. Un comando eseguito altrettanto indebitamente dal macchinista (deceduto) e dal capotreno Nicola Lorizzo, che non rispettò l'obbligo di verificare l'incrocio (infatti non avvenuto) con il treno in arrivo da Corato. La sentenza emessa giovedì dal Tribunale di Trani, che ha condannato Piccarreta (sei anni e sei mesi) e Lorizzo (sette anni) per l'incidente del 12 luglio 2016, dice dunque che la strage fu causata da una tripla catena di errori. Ed esclude, con le 15 assoluzioni pronunciate dal collegio presieduto dalla dottoressa Anna Lidia Corvino (relatore Marina Chiddo, a latere Sara Pedone) responsabilità dell'impresa che gestisce la linea e dei tecnici ministeriali che a vario titolo avevano il compito di autorizzarla e controllarne l'esercizio.

Non ha dunque retto l'impostazione della Procura di Trani, che riteneva i vertici della Ferrotramviaria ugualmente responsabili dei reati di disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni gravi. E una volta lette le motivazioni, il procuratore Renato Nitti valuterà se proporre appello.

Non può sfuggire che il capotreno Lorizzo ha avuto una pena più pesante di quella richiesta dall'accusa e di quella del capostazione Piccarreta che pure, con il suo «via libera», ha innescato la catena degli errori. È possibile che il Tribunale abbia considerato la condotta di Lorizzo più grave rispetto all'«annebbiamento» (pure ammesso) del capostazione, una sorta di colpa cosciente del capotreno che - pure sapendo di non poter partire prima di verificare con i suoi occhi l'arrivo dell'altro treno, scelse di fidarsi di Piccarreta. Esattamente la stessa scelta che fece il macchinista, che pure l'ha pagata con la vita. Diversamente da loro il capostazione di Corato, Alessio Porcelli, è stato assolto perché ha dimostrato di non aver mai dato la conferma di via libera al collega Piccarreta.

L'inchiesta portata avanti dalla Polfer e (in parte minore) dalla Finanza riteneva in sostanza che l'incidente si sarebbe potuto evitare se la linea fosse stata attrezzata con un sistema di controllo della marcia. Le assoluzioni dell'ex presidente di Ferrotramviaria, Enrico Maria Pasquini, e degli altri manager e dirigenti dicono però che la prova di questa tesi non è stata raggiunta. Le difese hanno infatti dimostrato che i binari non sono proprietà di Ferrotramviaria, e che il sistema di blocco telefonico (dare il via ai treni con telefono e paletta) è certamente obsoleto ma (all'epoca dei fatti) non vietato. Allo stesso modo, il controesame delle difese ai consulenti della Procura ha smontato la tesi secondo cui l'istituzione di treni bis «a precedere» l'originale non è vietata, e che l'acquisto di nuovi treni - effettuato con i soldi che la Regione aveva originariamente destinato all'installazione del blocco conta assi - non riguarda tanto la produttività (aumentare i ricavi) quanto la sicurezza del trasporto. Tuttavia (leggeremo le motivazioni) la Ferrotramviaria è stata condannata a risarcire la Regione come responsabile civile dell'incidente.

«Il dibattimento - dice l'avvocato Michele Vaira che insieme a Roberto Eustachio Sisto (studio FPS) difendeva il dirigente di Ferrotramviaria Giulio Roselli - ha dimostrato l'inconsistenza delle accuse su ogni piano. Le conclusioni dell'accusa non hanno affatto considerato i principi espressi dalla Cassazione nel caso del disastro di Viareggio. Del tutto mancante, poi, la prova del nesso tra le presunte (e comunque indimostrate) omissioni e il tragico evento. In definitiva, si è trattato di un evento, unico nel suo genere, del tutto imprevedibile, frutto di un gravissimo e contemporaneo errore umano di tre persone».

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno del 17 giugno 2023